“Dai dati Inps emerge con chiarezza come sia a rischio la tenuta economica e sociale del Paese, messa a dura prova prima dalla pandemia, tutt’altro che superata, e ora dalle conseguenze che la guerra in Ucraina sta determinando a livello mondiale e in particolare sul continente europeo, a partire dall’aumento dei costi dell’energia e dall’impennata dell’inflazione”.
Così la Cgil nazionale commenta il XXI Rapporto annuale dell’Inps presentato questa mattina, sottolineando che “occorre quindi intervenire con nettezza sul mercato del lavoro, riducendo drasticamente le tipologie e valorizzando l’ingresso nel mercato del lavoro con contratti che leghino la qualità dell’occupazione e la prospettiva di stabilità con la formazione. La qualità e non solo la quantità del lavoro è infatti decisiva per una ripresa che sappia accompagnarsi con la riduzione delle disuguaglianze e la tenuta della coesione sociale”.
“Se i dati di ripresa occupazionale possono apparire rassicuranti in termini di numero di occupati, il rapporto Inps certifica ancora una volta – sottolinea il sindacato – un grande problema nel nostro Paese rispetto alla qualità dell’occupazione. Minor numero di ore lavorate, part time involontario come zavorra sulla condizione femminile, crescita del tempo determinato e della somministrazione e calo nell’utilizzo dell’apprendistato indicano con chiarezza che il Paese fatica ad imboccare la strada del lavoro di qualità. Dato confermato anche dal tasso di irregolarità e di sommerso su cui sarà determinante un forte investimento come previsto dal Pnrr”.
“Il rapporto evidenzia chiaramente – prosegue il sindacato di corso d’Italia – che le misure di sostegno adottate durante la pandemia sono state determinanti per la tenuta dell’occupazione e la salvaguardia dei redditi. Oggi la sfida è nelle trasformazioni di medio e lungo periodo che la pandemia ha determinato sia nei comportamenti individuali, come dimostra l’aumento delle dimissioni o il drastico calo del lavoro autonomo, sia nelle dinamiche occupazionali dei diversi settori che indicano con nettezza i settori più in difficoltà rispetto ai dati pre-crisi”.
“Le condizioni di giovani e donne, la precarietà e la discontinuità lavorativa, i bassi salari sono ormai – afferma la Cgil – realtà nota e consolidata, che va affrontata e superata innanzitutto utilizzando con lungimiranza le risorse del Pnrr. Il 46% di part time riguarda le lavoratrici e consegna all’Italia un triste primato europeo. Stesso discorso per il 23% di lavoratori che guadagnano meno di 780 euro al mese. Gli sgravi contributivi, 21 miliardi nel solo 2021, non sono finalizzati a creare un’occupazione stabile, e spesso i lavoratori non sono i reali beneficiari di questo genere di misure”. C’è poi il problema della frequenza contributiva dei giovani negli ultimi decenni, che “rischia – avverte la Cgil – di condannarli a un futuro previdenziale incerto e povero, che possiamo evitare solo attraverso un lavoro stabile e di qualità e una pensione contributiva di garanzia che, come sindacati, proponiamo ormai da anni. Più complessivamente, la spesa pensionistica è sotto controllo, e nel 2020 la sua incidenza sul Pil, se si sottraggono tutte le prestazioni means – tested, è arrivata al 13,4%”.
Inoltre, per il sindacato di corso d’Italia “le ipotesi di riforma analizzate dall’Istituto sono molto distanti dalla nostra piattaforma sindacale. Per noi non è accettabile un’uscita con 64 anni e 35 di contribuzione, con penalizzazioni o ricalcoli contributivi, né tanto meno un anticipo della pensione solo per la quota contributiva, che rischia di colpire coloro che hanno retribuzioni basse o discontinuità lavorativa, in particolare le donne. Auspichiamo invece, come dichiarato dal Ministro Orlando, la riapertura del cantiere delle pensioni, non solo alla luce delle misure che scadranno alla fine dell’anno, ma per definire nuove misure di flessibilità, che tengano conto – conclude la Cgil – della gravosità dei lavori, del lavoro di cura e della condizione femminile”.