Interrogarsi sulle ragioni di un rinnovato impegno come RSU mi induce a riflettere sull’appartenenza pluriennale al sindacato, ai suoi ideali, alle sue lotte di ieri e di oggi. Se – come molti qui in sala – aprendo un cassetto sfoglio le prime tessere (ancora cartacee, non digitali), comprendo appieno che la nostra storia personale è intrecciata a quella della CGIL, nella riconosciuta confederalità e nell’appartenenza alla categoria FLC.
Il mio percorso sindacale è iniziato 20 anni, a Monza, con l’ingresso nel mondo della scuola. Già dal primo anno di insegnamento ammiravo l’azione convinta della RSU del mio Istituto: ne coglievo l’impegno, la perseveranza, il confronto senza schermi con la controparte. Osservando, apprendevo, attivando tutti i processi possibili di metacognizione.
La mia esperienza come RSU è più recente, risale a circa un decennio fa. Dopo il trasferimento a Salerno, l’allora segretario provinciale della FLC, Angelo Capezzuto, alla mia domanda “Chi potremmo candidare nel mio Istituto come RSU?”, replicò con un altro interrogativo: “Perché non ti candidi tu?”. E così, da presentatrice di lista, mutai ruolo e divenni candidata. Probabilmente, anche per molti di voi la discesa in campo è iniziata così, quasi in modo imprevisto, a bruciapelo. E tuttavia, la proposta di un segretario riveste il valore di una chiamata ad una forma di impegno più concreto, più partecipe, che non può lasciare indifferenti. Già, l’indifferenza.
Sentiamo questo termine rimbombare quando il voltarci dall’altra parte appare più conveniente, persino più comodo, in tutti i campi. Investire una parte di sé, del proprio tempo, delle proprie energie comporta, spesso, rinunce più o meno grandi, ostacoli da superare, mediazioni da costruire. Ma è questa la vera sfida! Ogni RSU sa che il proprio ruolo è tale nella fase interlocutoria, con i colleghi e con la controparte. Tale fase non si esaurisce nelle date fissate per la contrattazione: è un cammino senza soste, per affrontare il quale ci si impegna con lealtà a rendere il luogo di lavoro presidio di democrazia. La famigerata “tutela” garantita dal sindacato si condensa in un’articolata sequenza di affermazione dei diritti ed è affidata alle nostre azioni, ai nostri interventi, al nostro metterci in ascolto. Solo così possiamo essere degni di fiducia, dimostrando – giorno dopo giorno – la nostra vicinanza a tutti i lavoratori, nel caso specifico della mia categoria dagli ATA ai docenti.
Avendo partecipato a numerose assemblee sindacali, anche di altre sigle perché ritengo che il confronto sia sempre produttivo e costruttivo, ho notato che permane ancora una sorta di diffidenza verso il ruolo del sindacato, spesso additato come complice delle politiche governative, impotente rispetto a scelte controverse, debole al tavolo contrattuale… L’accusa generica e quasi demagogica viene a cadere nel momento in cui, in contesti concreti e definiti del quotidiano lavorativo ci si rivolge al sindacato per essere tutelati, guidati e consigliati. Il sindacato, allora, perde la maschera anonima e diventa la persona – in questo caso la RSU – che ti assiste, ti supporta, ti riceve, telefonicamente o in presenza, ti aggiorna sulla recente normativa, in altri termini, segue il tuo percorso.
Sicuramente l’abbrutimento relazionale seguito al lockdown, misura necessaria nella fase iniziale di prevenzione della pandemia, ha rischiato di far degenerare i rapporti sociali e di solidarietà, con il rischio che si smarrisse il senso stesso dell’essere comunità, dell’essere per l’altro, come direbbe Hegel. Oggi che siamo tornati in presenza nei nostri edifici, nelle nostre aule, possiamo nuovamente incrociare gli sguardi dei colleghi e percepire la loro richiesta, che ci coinvolge in prima persona: non vogliamo e non possiamo essere soli. Le bandiere e i palloncini innalzati nel cielo di Roma il 16 ottobre 2021 per la manifestazione “Mai più fascismi” lo hanno dimostrato ampiamente. E lo dimostra, una volta in più, questa sala, animata da tante presenze, esperienze, fervore di idee.
Dopo 15 anni di insegnamento presso lo stesso Istituto, quest’anno sono in servizio in un’altra scuola, il liceo Perito di Eboli, in provincia di Salerno. A settembre e i primi giorni di ottobre ho vissuto una fase quasi silente, di muta osservazione del nuovo contesto lavorativo. Già a metà ottobre, supportata dal segretario provinciale FLC CGIL Salerno Clara Lodomini, ho accettato di essere delegata della mia sigla sindacale presso la scuola, ho partecipato a tutti gli incontri con la RSU, sono intervenuta durante un’assemblea sindacale interna, ho cominciato a tessere rapporti, a fornire chiarimenti. Al momento di vagliare le candidature a RSU, il segretario Clara Lodomini mi ha posto la fatidica domanda “Perché non ti candidi?”, alla quale, in verità, non ho risposto affermativamente con immediatezza, avanzando anzi varie difficoltà, tra cui la scarsa conoscenza del territorio e del mutato contesto lavorativo. Finché – incoraggiata anche da alcuni colleghi – non ho maturato la decisione: sono ufficialmente candidata RSU. Al di là delle aspettative sul risultato, ho ritrovato l’entusiasmo di fare gruppo o, per dirla con l’efficace slogan 2022, “fare squadra”. E proprio nell’ottica del “fare squadra, di non girare in tondo invano, di fare quadrato”, per riprendere altre felici espressioni della nostra sigla sindacale per questa campagna elettorale, è stato importante contribuire – anche con piccoli gesti: telefonate, incontri, conversazioni – per contattare presentatori di lista e candidati di altre scuole. Per ogni RSU, infatti, lo sguardo non può mai essere concentrato soltanto sul sé: è nell’uscita dal sé, nell’attraversamento del territorio, che la squadra assume i contorni di un gruppo coeso, motivato. È questa, a mio giudizio, la lezione più efficace e pregnante dei nostri segretari, nazionali, regionali e provinciali: tentare di azzerare tutte le distanze, acuite dalla pandemia. Possiamo dire oggi che l’impresa, dal sapore di una sfida, è sicuramente riuscita, ma non si possono ignorare le difficoltà riscontrate.
Anche altre ragioni sono alla base della mia rinnovata candidatura. Nella mia cattedra di filosofia e storia sono comprese 2 ore di potenziamento, durante le quali discuto con gli alunni di temi di educazione civica a partire da testi di filosofi del secondo Novecento, sugli autori ignorati dai manuali. Nei mesi scorsi ho presentato loro il volumetto di M. Nussbaum, “Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica”. Secondo l’autrice, “le capacità intellettuali di riflessione e pensiero critico sono fondamentali per mantenere vive e ben salde le democrazie. Produrre crescita economica non significa produrre democrazia. Le scuole devono coltivare una formazione di tipo partecipativo, che attivi e perfezioni la capacità di vedere il mondo attraverso gli occhi di un’altra persona”. Rileggendo oggi queste affermazioni non posso esimermi dal riconsiderare con voi l’attuale crisi geopolitica, che rende traballante ed incerta non solo la tenuta della democrazia stessa, quanto il peso di diritti fondamentali che abbiamo creduto inviolabili, eterni. Il valore della formazione emerge con nitidezza, direi in misura necessaria, con una forza tale da essere indirizzata prioritariamente alle giovani generazioni, ma con il pieno contributo delle generazioni mature. Come ha ricordato recentemente Sinopoli, “il sapere e la conoscenza critica possono esercitare la loro massima funzione civile proprio in questo momento storico”.
Ogni giorno scopriamo che dobbiamo costruire o, addirittura, ricostruire il piano del dialogo. La democrazia ha, pertanto, bisogno di ciascuno di noi: nel consesso civile, nell’associazionismo, sui luoghi di lavoro. Il nostro operato, spesso frenetico, si fa sponda e baluardo dinanzi all’onda invasiva della limitazione dei diritti. Raccolgo la lezione di Hannah Arendt: “Non c’è questione politica che possa essere trattata senza toccare, implicitamente o esplicitamente, la questione della libertà dell’uomo. La libertà è la vera ragione per cui gli uomini vivono insieme”.
A ciascuno di voi e a me stessa auguro di vivificare le ragioni del nostro impegno nel sindacato, nella luce della libertà. Grazie.
Veronica Natella, docente Liceo perito di Eboli